Licei – Vivere l’arte

Per molti studenti del triennio del Liceo Classico e Scientifico l’incontro con l’opera d’arte è un’esperienza intensa, un’occasione per una riflessione profonda in cui emergono le esigenze ultime che affiorano con particolare urgenza in questo periodo. Tale disponibilità a un confronto emerge nelle risposte ai questionari di verifica proposti dall’insegnante dopo le video-lezioni per stimolare l’apprendimento critico. Scrive Maria del liceo classico, paragonando la Pietà di San Pietro alla Pietà Rondanini:

Non credo di preferire una delle due pietà, tuttavia ciò che più mi stupisce della Pietà Rondanini è che mi sembra la rappresentazione del tormento di un uomo. È come se Michelangelo riuscisse a scolpire la vita e la morte insieme, facendo così coesistere anche i due tratti essenziali del suo stile: la parte inferiore più definita e anatomicamente perfetta caratteristica della sua giovinezza, e la parte superiore, più semplice e tenera, la novità che caratterizza il suo stile della maturità. Quest’opera mi fa pensare anche al fatto che, come dice lo scultore Henry Moore, non conta la bravura dello scultore bensì il senso di umanità che si cela nel pensiero che muove l’artista che realizza l’opera e ritengo che sia incredibile che questa riflessione scaturisca proprio ammirando un’opera di Michelangelo. Credo anche che la grande disunità dell’opera e il contrasto tra le parti rendano la sezione superiore ancora più tenera e dolce facendo percepire al meglio ‘l’improvvisazione sentimentale’ che ha attraversato Michelangelo nello scolpire la parte della testa e delle spalle della Vergine. Inoltre, trovo che sia emozionante la grande drammaticità che scaturisce dalla pietra semplice e grezza che svela il volto della vergine e che nasconde la mano di una madre che si fonde al corpo stesso del figlio. A mio parere dunque, la tecnica perde importanza per cedere il posto alla spiritualità che ne deriva, il contatto e l’unione dei corpi sovrastano del tutto la disunità della tecnica. È come se alla fine della vita Michelangelo, fosse giunto all’essenziale. Si riesce a capire che Michelangelo giunse alla più profonda comprensione del senso dell’umanità che cerco di esprimere nella Pietà. Penso che quest’ultima riflessione si possa applicare anche alla Pietà Vaticana, attraverso la quale Michelangelo riesce a svelare una perfezione che supera la natura stessa facendo così provare all’osservatore una vera e propria esperienza del divino; inoltre, trovo geniale e straordinario il fatto che Michelangelo sia riuscito a celare in una scultura tutto il senso dell’esistenza umana: la vita e la morte. Ciò che più mi ha commosso nell’osservare questo capolavoro di Michelangelo è certamente il grande sentimento di compassione da cui viene si è investiti, ma compassione non solo nel significato più comune del termine, bensì innanzitutto nell’accezione piu originale della parole, che deriva ‘cum’ e ‘patior’ e quindi patire insieme, essere mossi dallo stesso sentimento. La comunanza che si viene a creare tra l’opera e lo spettatore è una delle cose che più mi ha colpito non appena mi sono trovata a davanti a essa.

Il non-finito michelangiolesco

Il non-finito michelangiolesco è l’insanabile contrasto tra la perfezione dell’idea e la realtà imperfetta e limitata nelle parole di Maria:

Nel percorso artistico di Michelangelo il non finito non fu sempre una scelta arbitrale, lo dimostrano opere come la Pietà Vaticana o il David. Tuttavia, con il passare del tempo, nelle sculture le parti abbozzate o non-finite assumono sempre maggiore importanza, diventando un preciso atto di volontà. L’opera incompiuta, negli anni della maturità dell’artista, esprime l’insanabile contrasto tra la perfezione dell’idea e la realtà imperfetta e limitata. L’opera diviene così espressione del contrasto tra la condizione dello spirito e quella corporale, prigione terrena dello spirito. Penso che l’opera più rappresentativa di questo contrasto spirito-corpo, forma-materia e vita-morte sia la Pietà Rondanini, in cui l’artista lascia la pietra bruta e non levigata proprio per rendere al meglio questi contrasti su cui si era voluto soffermare. Negli ultimi anni della sua vita Michelangelo vive un intenso travaglio interiore che lo porta a interrogarsi soprattutto sul mistero della morte; è come se lo scultore immagazzinasse dentro di sé tutta la drammaticità sperimentata durante la sua vita e in particolare negli ultimi istanti della sua esistenza e li restituisse in quest’opera, abbandonando e ricominciando spesso il lavoro, riducendo solo apparentemente l’azione, ma ottenendo il massimo grado di effetto. Il senso di umanità che ispira Michelangelo va oltre alla resa stessa dell’opera.

La molteplicità dei punti di vista

In modo simile il tema della molteplicità dei punti di vista su cui sperimentano Cezanne e Picasso diventa un’occasione di riflessione sulla natura sfuggente della realtà. Alla domanda per gli studenti di quinta liceo scientifico “Cosa domanderesti a Picasso o a Cezanne?” Federico risponde:

se la forma non è mai fissa di per sé, allora perché nasce la necessità di rappresentarla come un insieme di suoi punti di vista?

 

Oppure, alla ricerca di un appiglio, Chiara:

Domanda a Picasso: come è possibile la comunicazione dell’immagine a un qualsiasi osservatore se questa è frutto della visione relativa dell’artista rispetto all’oggetto? L’osservatore deve sentirsi necessitato a verificare il punto di vista dell’artista? O deve persistere nello smarrimento e inafferrabilità dell’oggetto? Perché trovo difficile la conoscenza attraverso la frammentazione se manca un’unità.

In modo simile Luca:

A Picasso: esiste un punto sintetico della realtà, qualcosa che la comprenda nella sua interezza e gli conferisca un senso non frammentario? E ancora sulla stessa linea si sbilancia Davide: Domanda per Cezanne. Essendo la pittura di Cezanne incentrata sull’essenzialità, una ricerca della verità nascosta dietro l’apparenza che supera la mera impressione e che si manifesta nella forma geometrica dell’intelletto, che ruolo potrebbe avere la “Bellezza”?

La nostalgia di Van Gogh

Andrea di quinta liceo classico rivive, commosso, la nostalgia di Van Gogh:

Van Gogh nella seconda “Notte stellata” del 1889 dipinge un cielo prima che sorga l’alba, con le ultime stelle notturne. Tutti gli elementi, dal cipresso in primo piano fino alla volta celeste e all’ alone di luce delle stelle, sono dipinti con una pennellata che esalta la forma rendendola curva e tondeggiante. Così egli risalta ed enfatizza la forma dei soggetti facendoli sembrare in movimento. Il cielo sembra davvero muoversi in un turbine e il cipresso sembra fatto di fiamme, e pure la linea morbida del colle ci accompagna lentamente verso il cielo. Tutto è in movimento, seppure siamo nel pacifico contesto notturno. Questo non compromette comunque l’aspetto realistico del paesaggio, rappresentato con uno sguardo attento ma allo stesso tempo filtrato dalla sensibilità dell’autore. Egli usa questa esaltazione delle forme per una resa espressiva; tutto appare come tormentato visto il continuo movimento delle forme, e così ci trasmette il suo stato emotivo tumultuoso. 

La ricerca di senso

E ancora Luca dello Scientifico allude alla ricerca di senso:

Nelle opere di Van Gogh è evidente una forte ricerca umana, una preponderante inquietudine. Questa sua intima domanda di senso che emerge nella così spiccata espressività pittorica, troverà mai un’ipotesi di risposta?

Prof. Antonia Chiesa